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Grandi, Cibio Trento: «Sperimentiamo vaccino su piattaforma innovativa»

Il Centro di Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento opera nell’area delle biotecnologie per la salute umana e svolge il suo programma suddiviso in diversi laboratori di ricerca, guidati da ricercatori indipendenti in quattro diverse aree: Genomica e Biologia del Cancro; Biologia Cellulare e Molecolare; Microbiologia e Biologia Sintetica e Biologia dello Sviluppo e Neurobiologia. Dispone di piattaforme tecnologiche che supportano le attività di ricerca dei laboratori dove vengono eseguite tra le altre ricerche anche quella sul sequenziamento del DNA.

Guido Grandi direttore del CIBIO di Trento

Il direttore vicario del CIBIO è il dottor Guido Grandi laureato in scienze biologiche, professore ordinario presso il Dipartimento di Biologia, Computazionale e Integrata dell’Università di Trento dove insegna Immunologia e Vaccinologia. Fino al 2014 ha ricoperto l’incarico di Senior Project Leader per la multinazionale farmaceutica Novartis Vaccines. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e inventore/co-inventore di oltre 450 brevetti internazionali, il professor Guido Grandi, insieme al professor Massimo Pizzato, virologo del Centro di Biologia Integrata, collabora con la Start-up BiOMViS srl di Siena (dove il figlio, Alberto Grandi è responsabile scientifico) su un progetto mirato a sviluppare un vaccino per il Coronavirus classificato come Sars-Cov2.

Professor Grandi ci descrive come state procedendo nella sperimentazione del vaccino?

«Ad oggi sono più di 150 i gruppi nel mondo che si stanno dedicando alla ricerca di un vaccino per il Sars-Cov-2 e 23 di questi vaccini in corso di sviluppo sono in fase sperimentale sull’uomo. Si parla di fase 1 quando la sperimentazione avviene su un campione limitato di volontari allo scopo di verificare la “sicurezza del vaccino” e al tempo stesso di testarne l’immunogenicità. Nel caso degli studi sull’uomo attualmente in corso per il vaccino contro SARS-CoV-2, per seguire l’immunogenicità si va ad osservare se nei volontari la vaccinazione induce la produzione di anticorpi capaci di riconoscere il virus e di bloccarne l’ingresso nelle cellule. La fase 2 prevede un campione di volontari più ampio dove il disegno dello studio è pensato per rinforzare i dati di sicurezza ma anche per generare i primi dati di efficacia. Quando si passa alla fase 3 la somministrazione sperimentale si espande a molti più soggetti per confermarne l’efficacia su un numero statisticamente più significativo. Se alla fine della fase 3 i dati sono in linea con le aspettative fissate, si passa alla registrazione. Normalmente gli studi clinici sull’uomo richiedono 6-8 anni e pertanto, aggiungendo a questi i tempi necessari alla ricerca/sviluppo e alla registrazione, ne consegue che mettere sul mercato un vaccino richiede dai 10 a 14 anni.

E’ evidente che queste tempistiche non sono compatibili con epidemie quali quella che stiamo sperimentando con SARS-CoV-2. In situazioni di questo genere, le strategie – prosegue il professor Grandi – prevedono di comprimere quanto più possibile i tempi necessari al completamento di ciascuna fase. A questo scopo le fasi 2 e 3 tendono ad essere programmate prima della chiusura della fase che le precede, ed attivarle con la massima rapidità, fatto salva la necessità di garantire elevati standard di sicurezza. Relativamente agli studi di efficacia (Fase 2 e Fase 3) questi normalmente prevedono il reclutamento di due gruppi di volontari, ad uno dei quali viene somministrato il vaccino mentre al secondo del placebo. Quindi si confronta il numero dei casi di infezione che si registrano in entrambi i gruppi in un certo periodo di tempo. E’ evidente che più elevata è l’incidenza dell’infezione minore è la dimensione dei gruppi necessaria ad ottenere dei dati statisticamente significativi. Nel caso di Covid-19, se è vero che il virus può avere un’incidenza molto alta, è altrettanto vero che il numero dei casi può cambiare velocemente nel tempo. Basti pensare all’Italia, paese che ha visto una crescita molto elevata del numero di casi nei mesi di Marzo-Aprile e dove ora le infezioni appaiono molto ridotte. In queste condizioni eseguire studi di efficacia può essere problematico. Per questo motivo, le autorità regolatorie potrebbero decidere di registrare un vaccino anche solo sulla base di “correlati di protezione”.

Nel caso di Covid-19, poiché la presenza di anticorpi capaci di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule sembra essere sufficiente a impedire l’insorgere dell’infezione (almeno nelle sue manifestazioni più gravi) le autorità regolatorie potrebbero prendere in considerazione la registrazione di un vaccino sulla base del fatto che questi sia in grado di indurre nei vaccinati elevati titoli di anticorpi neutralizzanti, e che abbia dato buone risposte in modelli animali di infezione. Se questa procedura di registrazione avverrà o meno, dipenderà da un’attenta valutazione del rischio-benefico e dall’impatto che la non disponibilità di un vaccino può avere sulla salute pubblica e sul tessuto economico. Al momento, tutte le fasi 2/3 prevedono la valutazione dell’efficacia, con alcuni vaccini che si prefiggono di vedere almeno una riduzione significativa sulle forme severe della malattia, altri che invece mirano a bloccare l’infezione, indipendentemente dalle manifestazioni patologiche. Va infine ricordato un progetto innovativo sostenuto dal WHO (World Health Organization), denominato “Solidarity”.

Nell’ambito di questo progetto, WHO seleziona i vaccini che hanno effettuato la Fase I e coordina studi multi-centrici di Fase 2/3. Così facendo gli sviluppatori di vaccini che aderiscono al progetto, al di là di dover fornire le dosi di vaccino, non devono preoccuparsi dei costi e dell’organizzazione degli studi di efficacia. Al tempo testo il progetto consente di confrontare i vari vaccini tra loro e di selezionare quelli a maggiore potenziale. Infine, essendo lo studio multi-centrico a livello mondiale, sarà possibile stabilire l’efficacia dei vaccini anche su diversi background generico-ambientali delle popolazioni e su diverse varianti del virus circolante.

Relativamente al nostro vaccino in fase di sperimentazione pre-clinica, questi è basato su una piattaforma innovativa che prevede l’uso di vescicole di membrana (OMVs) di Escherichia coli, un batterio completamente innocuo per l’uomo. Tali vescicole sono state ingegnerizzate con porzioni di proteine virali. Quando abbiamo usato le vescicole per immunizzare animali di laboratorio (topi), è stato possibile dimostrare che i topi sviluppavano anticorpi capaci di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule umane in cultura. La dimostrazione della capacità neutralizzante degli anticorpi è stata possibile grazie alla disponibilità di un saggio “in vitro” messo a punto nei laboratori del professor Pizzato.
Stiamo ora cercando dei partners finanziari/industriali interessati a portare il nostro candidato vaccino sino alle fasi cliniche. Considerando la semplicità e l’economicità del processo di produzione delle OMVs, riteniamo che il nostro vaccino possa rappresentare una valida alternativa, specialmente per i paesi in via di sviluppo».